Mhttk' blog

mercoledì, maggio 26, 2004

Le api non fanno il miele, quest'anno.

Sono cose che succedono. Le api, operaie per definizione, quest'anno sono state licenziate in tronco. Sono tempi duri per tutti.

In qualche modo mi dispiace per quello sciame d'api che nei pomeriggi d'estate creava un'alternativa, forse anche piacevole, al canto gracchiante e monotono delle cicale. Si sentiva un brusio che cambiava in continuazione. Numerose da non poter essere nemmeno contate, esse operavano tra le foglie di un eucalipto che piantammo nella parte alta del giardino, al confine con la strada. Saranno passati quasi vent'anni, e da piantine che erano, quegli alberi si sono eretti storti, disordinati e dispettosi verso il cielo. Un po' come abbiamo fatto negli anni a seguire noi che li abbiamo piantati con una paletta quasi per gioco.

Un ramo ormai sporgeva dal muro e se ne andava oltre confine lanciando le sue foglie verdi e profumate sulla strada e sul piccolo parcheggio antistante. Quando tra le foglie spuntavano i piccolissimi fiorellini dell'eucalipto, attaccati a piccoli coni gialli, le api lente, inesorabili ed espertissime ne estraevano ogni granello di polvere fino a far cadere quel piccolo cono sull'asfalto, un paio di metri più sotto.

Il ronzio era accompagnato dal tintinnio muto dei coni che cadevano. Per sentire il ronzio ed il rumore dell'impatto del resto del piccolo fiore bisognava che non ci fossero sospiri nell'aria, che le cicale tacessero tutte insieme e che non ci fossero né treni in passaggio né aerei che volassero. E questo capitava spesso verso le ore del tramonto tanto che, proprio quando rientravo, potevo ascoltare nei pochi passi dal parcheggio al cancello il silenzio di chi lavora seriamente.

Quei coni. Mi sono sempre rimasti in mente, perchè non sono un fiore a cui ero abituato. Non margherite, neppure dalie o rose. Non sono violette, non sono come le bocche di leone o i ciclamini o come qualunque fiore che insegnavano nei disegni alla prima elementare.

I coni. Evidentemente dovevano aver colpito anche qualcun'altro in tempi passati perchè li ritrovai ritratti in una stampa litografica, incorniciata e appesa al muro, a far bella una cucina. Da qualche parte quella cucina, nell'Italia, rimangono i fiori e da qualche parte nei ricordi rimangono anche per me.

Ma quest'anno la potatura primaverile non ha risparmiato tronco che fosse nel giardino, che fosse di pino, ulivo, eucalipto. Solo la magnolia che è intoccabile conserva la folta chioma. Pronta a produrre e piangere le sue foglie in quantità e a far mostra, di tanto in tanto, dei suoi bei fiori bianchi.

L'eucalipto perde i suoi rami e potrà crescere più sano, più libero verso il cielo, le api hanno perso il lavoro ed io terrò solo i ricordi di quei piccoli coni che cadevano a terra.

Le care apette ora si cercheranno un altro prato di fiori, o un altro bell'albero oppure saliranno sui rami superiori, più ossigenati e vicini al sole. Faranno più fatica e forse faranno un miele persino migliore. Servirà loro del tempo, ma faranno altro miele, possiamo starne certi.

E' così che funziona la vita e non sarò io ad interrompere la cerimonia.

Quella cucina, ahimé, rimane nella memoria. E con lei rimangono tutti quelli che sedevano attorno al tavolo e ed ai quali non auguro nulla né in male né in bene.

Perchè non è mio il potere di esaudire i loro desideri.
Anche se lo volessi.

martedì, maggio 25, 2004

Sono in ritardo

L'orologio batte le 18:49. I server sono intasati. Ed io sono in ritardo. Due giorni di ritardo. Dovevo fare, dovevo fare una serie di cose che m'ero ripromesso da tempo, questo lunedì. Magari forse non le volevo nemmeno fare.

Ma che dirsi? Qui ci starò fino alle otto se va bene. A casa non so nemmeno se riesco a tornare per l'ora di cena.

E cavolo, sono in ritardo.

Eh, credo che sia questo il punto. Dovevo così farle queste cose che ne ho fatte tremila altre pur di non farle. Ma questa è la guerra dei subconsci e non altro.

Per ora me la annoto così.
Poi, quando qualcuno cercherà di capire quali sono le cause di questa schizofrenia, beh, gli sarà sufficiente tornare nei post addietro.

(per la serie post selvatici)

martedì, maggio 18, 2004

Tonight is the night, my friend.

George è diventato famoso per questa frase. Detta a cena o nella prima serata, con un sorriso di malizioso divertimento che gli fa brillare gli occhi, George preparava sè ed il resto dell'entourage alla notte.

Il suo inglese non nascondeva mai il suo accento arabo, ma non serviva sentirlo parlare per capire da quali latitudini venisse. George l'aspetto del Libanese se lo portava addosso e l'accento all'inglese diventava un vezzo e non, come accade agli italiani come me, un tradimento.

Ma insomma, tonight is the night, isn't it? Forse si domandava, perchè venerdì sera, dopo l'aereoporto siamo andati in un posto fuori dal pianeta Roma. Andavamo a sentire un nostro amico, er Kalenda, che suonava in un locale ma mai ci saremmo aspettati di trovare uno scenario del genere. Worst case scenario, è il termine che utilizzano gli analisti, gli strateghi militari e i baristi alle cinque del mattino. Noi eravamo nella più improbabile delle serate.

George ci guarda, this is not the night. Dice. Il "my friends" se l'era mangiato per cautela.

Così migriamo alla sera successiva a cena con una pizza a quattro passi dal Colosseo. Convinciamo George che la serata stava per iniziare. Matteo, tuttavia, pizzica la corda sbagliata e pronuncia, serafico, Campo De' Fiori.

Per chi sa cosè Campo De' Fiori non è difficile capire quando dico che quello è il buco nero degli appuntamenti serali. Una volta entrati nel tunnel, non se ne esce più.
Vabbè. Saranno un quattro o cinque anni che Campo De' Fiori è diventato un appuntamento inflazionato e inutile, a mio dire. Non ci si può passeggiare più, non si incontra mai nessuno, non succede nulla. Ma vaglielo a spiegà a George....

Comunque io la mia proposta l'avevo fatta, gli altri avevano la loro. E riusciamo a uscire dal vortice. Usciamo così bene dal vortice che quando arriviamo al Baja era chiuso e le speranze di non finire al Branca s'erano prosciugate d'un sol colpo.

Così, senza più logica, alle 2 del mattino torniamo al centro centro, dove non parcheggi manco col macete e tentiamo la sorte. Vogliamo entrare alle due al Supper Club. Dal mio punto di vista è come tentare di fare sette con un solo dado.

Non semplicemente una questione di difficoltà, è impossibile.

Per la gioia del mucchio, finiamo al Brancaleone. Morte civile delle speranze andiamo lì.

The night ha da venì.
George ha ancora a disposizione una Domenica, io anche.

E' così che Matteo va alla canonizzazione di non so chi a San Pietro, io mi dedico agli appuntamenti di mezzo pomeriggio e il Milan riceve lo scudetto.

Sono forze superiori, inutile opporsi.

Ora George dovrebbe essere a Londra, io sono davanti al monitor e i santi nel cielo, a ricordarci che ognuno ha quel che cerca.





lunedì, maggio 17, 2004

Lunedì 6 AM

Lunedì mattina presto, molto, molto presto.
Ieri, e non so nemmeno io come, mi sono trovato a passeggiare per Roma, nel tardo pomeriggio, un aperitivo e quattro chiacchiere prima di cena.
Un cocktail questo che inevitabilmente invita a cena e che non può che essere assecondato vistoche, alle otto e qualche minuto eravamo, in due, in attesa di un tavolo all'ingresso del ristorante.

Non l'avrei certo detto, ma la cena può divenire il momento più affamante della vita senza che la fame in questione diventi fame di cibo.

A intendersi, sia chiaro, che come s'addice ai gentiluomini di mangiare con le posate e di pulirsi le labbra col fazzoletto prima di bere, anche quando la fame va oltre la misura normale, così la fame di cui dico era a condimento degli attimi e di quelli si nutriva. Null'altro che compagnia ed un paio d'occhi che, se non distratti altrove, mi guardavano.

Non è nella mia natura parlare di queste cose e non ne parlerò, ma stamattina mi sono svegliato alle 6. E considerato che all'una di notte stavo ancora leggendo, debbo dire che è piuttosto anomalo per me dormire così poco. Eppure da quando mi sono svegliato non sono più riuscito a far altro che a rigirarmi nel letto fino a che, trionfante sui primi raggi del giorno, ho messo il mio piede sul pavimento, fiero e confuso come il primo passo sulla luna. Nessun grande passo per l'umanità ma pel piccolo uomo quale io sono è e rimane un grande passo.

Non so.
Ci sono due cose che riescono a non farmi dormire. I turbamenti ed i fritti mal digeriti.

Credo di essermi innamorato dei fiori di zucca.

mercoledì, maggio 12, 2004

Esattamente.

Oggi non avevo un c***o da fare.

sabato, maggio 08, 2004

..:: Panta Rei ::..

Se mi sentisse Ciop dire una cosa di questo genere allora comincerebbe a ripeterla. E sbaglierebbe tutti gli accenti, ne sono sicuro.

Ma insomma, il dado � tratto. Ogni istante che passa non � cugino e neppure fratello degli innumerevoli istanti gi� trascorsi. Il tempo ha una sua forma, struttura e logica, segue leggi proprie e sempre variabili ma non pu� che essere inteso come s'intende una goccia d'acqua che finisce il tormento del proprio cadere in un fiume in piena. Un niente quasi impercettibile eppure sconsiderevolmente essenziale.

Ma se il ticchettio delle pendole non si conf� ai paragoni idraulici allora non v'� molto altro da ricordare se non che ci siamo. Il tempo va. E, tra l'altro, va per una strada ripidamente in discesa. Quindi non risalir�, non si fermer� e non potr� aspettare.

Fluisce tutto, e scorre... scorre. Mai cosa pi� vera.

Ebbene, son deciso, io vado. E mi butto in un tuffo nel brio delle gocce di tempo che portan con s� soltanto se stesse. Vanno lontane verso un futuro, che le gocce di tempo non vedranno mai.

...non so pi� come fare. Faccio discorsi da drogato. Senza drogarmi.
Magari risparmio...