Mhttk' blog

mercoledì, ottobre 13, 2004

Ready to go.




Giovedì, sera verso le sette il mio aereo sarebbe decollato da Ciampino. Era circa mezzodì e non avevo neppure lontanamente finito di preparare la sacca laterale del bagaglio a mano. La valigia pesante me l'ero lasciata per ultima, ancora non sapevo quale sarebbe stata.

Tutto mi dovevo portare via, tutto. Le cose che mi sarei messo e le cose che avrei voluto tenere nell'armadio in modo che un giorno all'altro me le possa mettere. Mi servivano i libri, tonnellate di libri. Anzi no, i libri pesano. Mi serviva il passaporto. Il passaporto, dove diavolo sarà finito il passaporto? Vabbè. La patente, ah sì, la patente... scade l'estate prossima, me la porto, visto mai dovessi guidare in Inghilterra. I soldi, sì, i soldi, la carta di credito, la carta di debito (qui il bancomat lo chiamano in questa maniera), cos'altro? Un orologio. Un orologio no, non lo uso. Tanto il tempo che io lo guardi o meno ce la fa da solo a fregarmi i minuti dalle tasche.

Ed è vero perchè ormai sono le due passate. Vediamo un po'... camice. Un paio. Magliette... un po'. Quattro maglioni non mi entrano, facciamo tre. Le scarpe, sì, le ho messe...
Ah, asciugamani, lenzuola, una coperta! Non vado in albergo, no, devo andarmene a casa da solo.
Ma dove li prendo questi accessori civili ora? Dove sonoooooooo?

Intanto le geometrie della borsa si modificano strane e storte, si aggrumano, si disfano e poi si rifanno. Il peso, la valigia deve contenere tutto ma non eccedere il peso... quant'é il peso permesso? Vabbè. Sono le tre e mezza. Tra tre ore cambio nazione e devo finire la valigia.

Qualcuno ha visto il mio passaporto? Il mio urlo echeggia tre volte la casa, poi cessa e mia madre, come suo solito, mi ricorda di quanto sono disordinato. Ed io, come al solito, mi incazzo che me lo ricorda quando non me ne frega niente saperlo. Lo so da me. Io sono disordinato, esattamente come la terra è una sfera, la calamita ha due poli e i polli non possono volare. E' la natura che lo vuole, inutile opporsi. In principio fu il caos, e da me, diciamo così, sono ancora agli inizi.

Il bagaglio a mano era la mia ossessione. Avevo tonnelate di tecnologia da portarmi appresso. E non ne potevo fare a meno. Sono già le cinque e non ho deciso se portarmi o non portarmi il mouse. Il passaporto era sotto la cartina di Bangkok, appoggiata sulla libreria. I soldi, la clip d'argento per tenere le fascette di sterline come fanno i mafiosi, forse un ombrello. No. Un ombrello non mi è neppure venuto in mente. Lo vorrei ora che scrivo.

Non si sa mai è un motto, non una considerazione: un paio di panini me li porto.

Le lamette per la barba, l'acqua, qualcosa per Carlo, un libro, le foto di mamma, papà, nonna, le sorelle, il cane. No. Niente foto, mica me li dimentico. (...) Non posso fare l'italiano da film pizza e mandolino, non si può fare. Cerchiamo di mantenere contegno europeo, per diamine. Sono le sei passate da quaranta minuti, dobbiamo uscire per l'aereporto.

Arrivati all'aereoporto mi rendo conto che Ciampino è un aereporto del cavolo. Per destinazioni e itinerari importanti non si può partire da un aereoporto così pop, così scemo. Entrata, check-in e imbarco sono a tre metri l'uno dall'altro. Non c'è la storia del parcheggio impossibile, la doppiafila col vigile incazzato, i tabelloni che non si capisce a quale check in si debba andare, è così piccolo Ciampino che se fanno uno sciopero l'intero aereoporto potrebbe funzionare con le biglietterie self service.

In questa atmosfera mi tocca partire. Per giunta mia madre stava cominciando con le raccomandazioni, mio padre faceva finta che mamma non m'avesse detto che era più dispiaciuto lui che altri e io ormai dovevo andare, dovevo andare via.

Mamma, Papà, ciao.

Finalmente sull'aereo mi ricordo di quelle tre o quattro migliaia di cose che dovevo fare prima di partire, e che farò, un giorno o l'altro quando torno. In fondo vado a tre ore d'aereo da casa. Da questo punto di vista se andassi a vivere a Firenze sarebbe la stessa cosa. Tre ore da casa, cinquanta euro di benzine e autostrade, grosso modo.

Dell'aereo non mi viene nulla da dire. Non parlavo con nessuno, non volevo. Non sapevo a quale punto del viaggio avrei dovuto cambiare lingua, in quale momento avrei dovuto usare l'inglese, quando, io non lo sapevo proprio. Arrivato a Stansted, un aereoporto a dieci minuti da Edimburgo ma a un'ora e mezza da Londra, il freddo cucinava quelle microgocce di brit-pioggia che mi danno un caloroso benvenuto.

Mò, so' cazzi. Mi è venuto in mente solo questo.

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