Mhttk' blog

venerdì, novembre 19, 2004

Londra. Ormai è fatta.

Non capita tutti i giorni di cambiare casa, no di certo. E non capita nemmeno a tutti nella vita di cambiare città. Cambiare nazione è, poi, fuori dalla portata dei più, a mia modesta opinione. Questa considerazione confortava in parte quello che si stava materializzando in fatto concreto. Ormai cominciavo a vivere in una nuova città e questa, Londra, sarà casa mia per almeno tutto il prossimo anno. Bisognava abituarsi soltanto all'idea.

Nella prima metà di Ottobre continuavo a occupare la casa di Carlo e di Silvia in attesa ed anche in ricerca della mia prossima, ormai attuale, abitazione. Cercare casa è stata una delle attività più interessanti e noiose che mi fossero capitate, ho girato una dozzina di appartamenti ed ogni volta c'era qualcosa che non andava. Una casa tutto sommato carina, in una zona tranquilla, che costava poco si trovava dalle parti di Edware Road. A quaranta minuti dal centro, a venti minuti dall'università. Impraticabile. Un'altro posto era gagliardo, a Wembley Central, c'era tutto: cameriera due volte a settimana, internet e sky, giardino e living room. Ma la casa faceva un po' schifo e costicchiava non poco. L'appartamento a Russel Square l'ho perso per mezz'ora di tempo e quelli a Notting Hill li ho persi per qualche centinaia di euro in meno. D'altra parte non aveva senso neppure prendere casa così lontano.

Alla fine decido. Prendo una casa a Wembley Park. Dieci minuti dall'università, quindici dal centro, prezzo leggermente sopra il budget ma tutto sommato non male. Degli animali che ho trovato dentro la casa parlerò magari un altro giorno, quando avrò tempo di spiegare che ripongo fiducia sul numero 23. (come se dice a Roma, bucio de c....)

L'aspetto interessante della trasferta è che cominciavo ad ambientarmi. Frequentavo i corsi arrivando inusualmente puntuale ma mancava l'ultimo spunto di organizzazione. Che diavolo faccio il sabato sera?
Cominciavo ad essere il terzo nel triangolo di casa Carlo, ma stavo dalla parte sbagliata del poligono e necessitavo di strategie ben definite per lasciare in santa pace la casa ed i suoi abitanti almeno il sabato sera.

Animato anche dalla convinzione che tutto sommato più tardi si fa una telefonata e peggio è e convinto poi che farla invece troppo presto non è cosa cosciente, arrivo a concludere che i tempi sono maturi. E così chiamo mr. Emanuele Scalera il quale esige il nome per intero sul blog a patto che questo serva per restituire un buon risultato di ricerca su google per tutto il prossimo mesetto.

Emanuele Scalera è quel personaggio di cui accennai qualche mese fa (più di tredici...) ed al quale già mi sono affidato per gonfiare la mia night-life di tanto inutili quanto buffe serate .

Emanuele Scalera (e nominarlo ancora una terza volta dovrebbe bastare per Mr. Google) compiva gli anni in quel mese e doveva festeggiare non si poteva di certo tirare indietro. Cose, queste, che io scopro postume ma che l'intuizione della maturazione dei tempi ha reso la mia telefonata alla circostanza nella stessa maniera con cui s'addice il cacio su maccheroni. Il sabato sera è fatta: appuntamento a Dover Street o giù di lì. Una vietta a ridosso di Piccadilly st., proprio a due passi dal Ritz.

Il nome del locale rimane oscuro: "Capish" è quello che mi arriva dalla cornetta del telefono e suonava proprio come quel capish che Marlon Brando usava intercalando coi fellas nel padrino.

Il gessato quella sera, non me lo sarei messo. Neppure per mr. Scalera.

Intanto bisognava ancora organizzare il venerdì e in sordina finisco all'appuntamento con Emanuele vicino a Ladbroke Grove a ridosso di Portobello, viene in macchina accompagnato da (ora comincia il casino coi nomi) Luca, che è sotto gli effetti permanenti di dosi massicce di cocaina ma non ne fa uso, e di Flavia che lì per lì avevo scambiato per la ragazza di Emanuele.

E che credo che Emanuele abbia scambiato per la sua ragazza pure lui per qualche tempo, ma questa e' un'altra storia e io non mi cimentero' certo a raccontarla.

Il venerdi' finiamo in locale a ridosso del Tamigi, un certo Walkabout o simile dove un'orda di people se ne stava li' a consumare la musica al ritmo di birra e cocktails. Niente male.

Venerdi' me ne torno a casa sobrio.

Sabato mattina mi accorgo che, in realta', mi sbagliavo: non ero sobrio per nulla.