Mhttk' blog

mercoledì, aprile 23, 2003


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* Londra 2003
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* Cap II
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* Tredici ore di ritardo
* tredici minuti di panico
* e tredici secondi al telefono.
* Per tredici ore a Londra.
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La mattina � dura svegliarsi.
Non foss'altro per un gatto grigiastro che graffiava l'infisso della mia
finestra sin dalle sei del mattino. Quel gatto non me l'ha mai raccontata
giusta e mi sarei esercitato in guerriglia agreste quella mattina, ma stavo
in partenza e, caro gatto, scusa ma non avevo proprio tempo per te.

Come in ogni migliore tradizione quella era una mattina limpida, soleggiata
e fredda.
Ogni volta che ho letto di giornate d'inverno la regola imponeva che le
giornate di febbraio siano fredde ed il cielo sia limpido o, meglio, terso.
Probabilmente perch� quando soffia la tramontana nella notte al mattino
il cielo � azzurro ma freddo come gli occhi delle bionde dee delle leggende
nordiche. Le notti invece sono rigorosamente buie e tempestose.
Insomma io la voglio ricordare cos�... ma se bisogna essere proprio onesti
per dovere di cronaca devo ammettere che c'era un po' di foschia, il sole
sfumava nel cielo e faceva piuttosto caldo per essere l'ultimo giorno di
febbraio. Cielo indeciso, s� cielo senza un'anima propria, una giornata
qualunque.

Ma l'arrivo all'aereoporto mi sveglia da queste oziose considerazioni. Cielo
o non cielo, montagne, burocrazie, euri e documenti non potevano nulla contro
la mia posizione. Io, nonstante me stesso, partivo!
Eh, s� la vita � una battaglia con se stessi e io stavo cominciando a recuperare
terreno. Il sorriso che avevo stampato in faccia non colmava di certo le
lacune di sonno della notte prima ma dove � scritto che per prendere un
aereo bisogna partire riposati? Anzi, forse il sonno in certi casi aiuta....

Salgo per ultimo in aereoplano, scaletta anteriore, un sorriso � bastato
alla hostess racchia della Ryanair per dirmi che dovevo cercarmi un posto
perch� i posti non erano numerati.

Non numerati?

Un autobus. Stavo su un autobus con le ali.

L'aereo era praticamente pieno e pochi erano i posti disponibili. Molti
inglesi, gli italioti si riconoscevano dagli occhiali da sole a mo' di cerchietto
sui capelli oppure dal corriere dello sport gi� aperto.

Comunque trovo posto in mezzo alle donne.

Ero circondato dalle donne. Bene! Questo viaggio comincia proprio a piacermi!
Accanto a me,sulla sinistra, c'erano due ragazze in viaggio assieme alle
altre tre ragazze di fronte, dall'altra parte, separata dal corridoio, una
signora sulla cinquantina probabilmente inglese che armeggiava con un libro
sottolineando e sfogliando confusamente le pagine. L'aereo non era nemmeno
partito, le hostess non si erano ancora prodigate nella classica recita
della maschera di ossigeno e del salvagente e la signora stava gi� litigando
con il suo libro.
Perch� tanto daffare con quel libro?
Sfoglia...sfoglia...sfoglia avanti e indietro.

L'aereo � posizionato sulla pista.

Ma che libro legge? Perch� freme?

Motori accesi. Comincia il frastuono.

Sottolinea, la signora, sottolinea.

Comincia la rullata. (Si dice cosi?). L'aereo accelera.
"Take Off" Ho pensato. A pochi centimetri da terra io gi� stavo in Gran
Bretagna. "Take off..."
Il decollo di un aereoplano � una fase estremamente critica del viaggio,
forse non la peggiore, ma ha il suo fattore di rischio.
L'aereo era inclinato, deciso in quella salita invisibile che lo porter�
direttamente tra le nubi, cinture allacciate, qualche urletto sparso, risatine
nervose. Io ero tutto preso con me stesso a convincermi che la preoccupazione
non aiuta e che in fondo � pi� sicuro decollare con un aereoplano che attraversare
la strada a via del Tritone di sabato pomeriggio ma, sinceramente, io a
via del Tritone non ci vado mai e non avevo altri pensieri a tenermi conforto.

La signora finalmente chiude il libro e la smette di innervosirmi.
L'occhio cade sulla copertina e leggo il titolo.

"From Genesis to Apocalipse, a glimpse on the end of the world"

Uno si pu� armare di tutta la liberalit� di questo mondo ma, signora cara,
sono libri da leggersi in aereoplano? La guardai con occhi aperti, sopracciglia
aggrottate. La guardo meglio e mi sembra pi� brutta di prima, alla fine
mi sono fermato dal chiederle se non le sarebbe convenuto usare la scopa
per andare a Londra. Ma non so usare i condizionali in inglese cos� male
come li uso in italiano. E quindi mi concentrai meglio sulle mie letture.

Nulla di colto. Stavo leggendo la cronaca di Ostia perch� aprire "Il Messaggero"
in aereoplano � un'impresa e quindi non mi rimaneva che sfogliare il giornale
come si sfoglia l'elenco telefonico mentre si cerca un nome: per l'angolo
superiore, a cominciare dal fondo.

Tredici minuti di salita, un po' d'ansia.

Volare � eccitante, tutto sommato, anche se si vola dentro un autobus. Cominciai
una conversazione con le ragazze che mi circondavano. La conversazione non
poteva che percorrere il patetico sentiero dei luoghi comuni e della banalit�
ma bisogna ammettere che sono stato brillante. Non so se devo sentirmi un
campione delle banalit� o se devo invece considerarmi un brillante animale
da conversazione. I momenti pi� brillanti dei miei pensieri e delle conversazioni
li raggiungo quando mi sento sotto stress. Sar� da fifoni, ma io comincio
ad aver paura dell'aereoplano. E se uno ha fifa da aereoplano e ci sta seduto
dentro mentre vola, ebbene, � in una situazione di forte, fortissimo stress.

Comunque alla fine l'aereo atterra a Stansted, un aereoporto sperduto a
nord di Londra in mezzo alla campagna e pieno di questi aereoplani-autobus
che fanno da navetta tra i paesi dell'europa continentale e i due isolotti
anglofoni.

E' circa l'una del pomeriggio ed io sono in ritardo di tredici ore rispetto
alle mie precedenti intenzioni.

Il viaggio in bus tra Stansted e Marble Arch � di una noia paragonabile
solamente ai film russi che danno su rai tre alle quattro del mattino. La
noia � interrotta da una telefonata dall'Italia. Tredici secondi di conversazione
chiudono definitivamente il credito telefonico con la Telecom SpA. Sono
senza una lira nel telefono.

Arrivati a Marble Arch, zaino in spalla mi dirigo verso Snappy Snaps a Wardour
Street, vicino Soho Square.
Carlo lavora per Snappy Snaps, un laboratorio fotografico incastonato nel
quartiere delle produzioni aritisticomusicalcinematografiche della citt�.
Una sorta di ombellico del mondo multimediale.

Sui corsi e ricorsi storici non vorrei aprire una parentesi ma Carlo e la
fotografia sono una coppia di fatto, almeno a detta dei suoi amici e conoscenti,
che Carlo lo voglia o meno, � cos�.

Viaggio inutile. Carlo � in pausa pranzo. E stava con Matteo da pizza Hut.

Mangio qualcosa, converso. Si usa "converso"? Oppure si deve usare "faccio
conversazione"?
Vabb�, chi conosce me, Carlo e Matteo sa bene che noi conversavamo, magari
agli altri tavoli facevano conversazione, ma noi abbiamo conversato per
una mezz'oretta buona.

Qui ci separiamo e Carlo se ne torna al Lavoro, Matteo mi accompagna per
un tratto di Metropolitana fino a Baker Street, l� ci dividiamo.
Matteo aveva un appuntamento al "The Globe", il pub di fronte alla stazione
di Baker Street, a quattro passi dall'Universit� che ha frequentato a Londra.
Io, invece, andavo a casa di Carlo a posare armi e bagagli e riportare il
mio aspetto a qualcosa di pi� europeo visto che cominciavo ad assomigliare
ad un ceceno in viaggio premio.

Verso le cinque arrivo anch'io al The Globe e ricomincia una passione tra
me e la bionda birra che durer�, intensa, per tutto il fine settimana. All'inizio
eravamo in tre, poi, a grappoli, si sono uniti gli altri.

Arriva Gianky, poi George, il Libanese amico di Matteo, arriva Andrea, poi
Emanuele.

Emanuele? Emanuele Scalera!

Che dire? Per trovare la pi� immediata relazione tra me ed Emanuele posso
solo dire che siamo stati "Compagni di Triciclo" negli anni di Liceo.

Tardi, per ultimo, ci raggiunge Carlo.

Si beve, si mangia qualcosa, e si ride. Andrea che ride � buffo, Gianclaudio
si prodiga in smorfie ed espressioni assurde quando ride ma Carlo, Carlo
cambia colore. Diventa rosso a puntini.

Inutile dilungarsi a ricordare verso quale cammino ci fossimo avviati, stava
di fatto che la serata non terminava di fronte a quella pila di bicchieri
ormai vuoti.

Ci spostiamo ancora. Un locale goffamente frequentato dai dancers del gioved�
sera, vicino a Piccadilly Circus. Il locale in s� non era poi tanto male
ma a me non diceva proprio niente.

Stavamo seduti nel salotto di legno e cuoio verde circondati da ritratti
e da paesaggi che ricordavano la caccia alla volpe. Rimango solo con la
tipa Nippofrancese a parlare di non so proprio cosa. Il mio inglese stava
progressivamente peggiorando. Nel pomeriggio sbagliavo soprattutto i tempi
passati dei verbi, ma a quell'ora sbagliavo tutto. Cos� quando gli altri
tornano al tavolo per invitarci a raggiungerli al bar non avevo proprio
intenzione di contraddirli. Andiamo al bar.

Matteo si era indecorosamente prodigato in una gara con il buon senso per
aggregare tutti attorno ad una fila di piccoli bicchieri. Sale, limone,
Tequila. Tequila a go-go, direi, visto che la serata ha avuto un incessante
procedere verso il bicchiere di tequila successivo.

Carlo per tutta la serata mi riproponeva la sua paranoia semestrale. Le
donne erano attratte da lui. Mi diceva, guarda queste, lo fanno apposta.
Io, che invece appartengo alla categoria delle antiparanoie, vedevo tutto
tranne quello che queste tipe facevano apposta.

Fanno cosa? Cercavo di chiedere.
Mentre cercavo aiuto negli altri, mi ero reso conto che Gianclaudio avrebbe
perso una partita a pari e dispari giocata da solo. Matteo rideva. Matteo
era un sorriso che faceva due giri della testa. Si dilettava a fare lo scemo
un po' qui e un po' l�, ma � inutile, rideva. Rimanevano l'amico George
e Andrea. Ma lasciamo perdere.
La nippofrancese (mi perdoner� ma non mi riesco a ricordare il suo nome)
si agatava in balli struscioni a cui nessuno ha resistito, e Carlo non faceva
altro che convincermi che l� quella sera qualcuna se lo sarebbe portato
via, se non fosse stato attento. E che, forse, avrebbero fatto lo stesso
con me.

E siccome Carlo attento non ci poteva proprio stare e il fatto che fosse
rapito da una biondina inglese lo sconvolgeva tanto, ci sono stato io attento.
D'altra parte, gli amici servono a questo.

E cos� verso le due io, Carlo e la tipa orientale ce ne siamo tornati in
quel di Kilburn con un taxi abusivo.

Alle due di notte, tredici ore dopo l'arrivo a Londra, vado a dormire.








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* Londra 2003
* Cap I
* Londra, Maometto e le montagne
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Infatti. Ma che c'entra?
Molto, molto pi� di quanto non appaia.

Gennaio 2003, febbraio 2003. Guerra. Non si parla d'altro dappertutto. Guerra,
a nessuno piace la guerra nemmeno ai soldati che in guerra ci vanno, figuriamoci
se piace a quelli che invece se ne stanno comodi in giro pel mondo dei ricchi,
figuriamoci.
Ma la guerra � un'ombra che incombe e, se da un lato i missili non saranno
tanto gentili prima di entrare in casa d'altri ad "esplodere in amorevoli
effusioni", dall'altro lo spauracchio che ospiti tracannanti cocktail di
nitroglicerina siano compagni di viaggio in aereo o in metropolitana non
� nemmeno da sottovalutare.

E si doveva partire per Londra. In aereo e verso la capitale della metropolitana.

Ma c'era qualcosa che mi preoccupava. Sai come quando senti che qualcosa
non torna?
Non avevo torto.

Insomma due furbi si mettevano in viaggio. "Forse non � il miglior periodo
per partire questo..." si pensava all'unisono.

Ma se c'� una gara di furbi � bene vincerla, cos�, grazie ad innate virt�
questa volta l'ho vinta io.
Alle sei e mezzo di sera, stante l'aereo alle nove, mi accorgo che non riesco
a trovare la carta d'identit�. Niente, Nihil, Nothing, Nullaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhh!!!!!!!!!!!!!!

Dopo aver fatto tintinnare, vibrare e gracchiare i telefoni dei centralini
di polizia di due aereoporti, verso le otto mi rendo conto che, forse, non
sarei arrivato molto puntuale a Londra.

Quattro alternative. Non andare a Londra, trovare il documento, rifare il
documento, ritirarmi a vita privata.
Siccome la prima e l'ultima alternativa erano da scartarsi a priori per
l'ovvia incompatibilit� con la situazione che stavo vivendo, bisognava agire
e in fretta.
La memoria mi aiuta.

Ildocumento�rimastoallasignoraaffittascidipescasserolidomenicaquandosonoandatoinmontagna!

Non ho dimenticato gli spazi. Quando mi � venuto in mente l'ho pensata cos�,
a riga unica ed echeggiava tra i due emisferi del cervello rimbalzando ripetutamente
tra il timpano destro e quello sinistro.
Da un lato pensavo che fosse il destino che mi diceva di non partire, dall'altro
lato invece pensavo soltanto di essere un rincoglionito di prima specie.
Ora, se c'� una cosa che un giovanotto a ventisei anni non deve fare � quella
di darsi contro in situazioni come queste perch� deprimono e rendono infelici.
Quello che bisogna invece fare � trarsi dal guado.
Per trovare il numero di telefono della signora che affittava gli sci a
Pescasseroli alle otto di sera non vi racconto nemmeno i giri che ho dovuto
fare, ma per spiegarle che il documento mi servisse i-m-m-e-d-i-a-t-a-m-e-n-t-e
� stato una fatica abnorme.
Mi conveniva andare a Pescasseroli, riprendere il documento e prendere il
primo volo per Londra la mattina.

Altrimenti avrei dovuto sperare nella rapidit�, celerit�, puntualit� e cortesia
degli impiegati della circoscrizione XII il che equivale, grossomodo, ad
aspettare la venuta dell'Arcangelo Gabriele.

Meglio recuperare il documento di sera. Una certezza serviva, una certezza
certamente certa.
Un po' tipo quella pubblicit� con Sean Connery che non se lo fila pi� nessuno
perch� senza l'assicurazione non ha pi� la sua certezza. Ecco. Io mi stavo
riguadagnando una certezza.
Se non altro avrei dormito in santa pace la notte, senn� gli incubi chiamavano
gli amici e si mettevano a fare un fal� in camera mia per tutta la notte.

E ci siamo. Vado in montagna. mmm.... la macchina, la macchina � dal meccanico.
Cazzo cazzo cazzo!!!!!!!!!!!!!!!!!1

E la mamma � sempre la mamma.... voil�, ecco una macchina veloce e potente
per le necessit� del figlio scemo. Perch� in ogni famiglia che si rispetti
c'� sempre un figlio scemo e una madre accondiscendente. E la nostra � una
famiglia di tutto rispetto.

Un pellegrinaggio mi porta alle undici e mezza di sera, strada ghiacciata
e neve addormentata sul ciglio della strada all'ingresso del Parco Nazionale
d'Abbruzzo.
Finalmente, come dire, avevo il passaporto per London City!
Il viaggio di andata � stato noioso e lungo. Pieno di pensieri e scarno
di senso d'humor. Non riuscivo a trovare nulla di buffo in quello che accadeva
tranne quella spia rossa della benzina insistente a quaranta chilometri
dal pi� vicino distributore. Stare in riserva in mezzo alle montagne non
� il top della vita ma stare in mezzo alle montagne senza benzina avendo
perso un aereo e inseguendo un capriccio che mi coster� otto volte il prezzo
del biglietto iniziale, caspiterina, non � male, non � affatto male, �,
come non concederselo, "peggissimo".
Il ritorno invece � stato solo noioso, a parte la nausea che mi ero proficuamente
guadagnato in quei quaranta chilometri di tornanti nel viaggio d'andata.

Ed ora se ci pensiamo bene, Londra, Maometto e la montagna qualcosa a che
fare ce l'hanno, eccome.

Il giorno dopo parto alle dieci del mattino. Con un altro biglietto, con
un altro volo.
Partenza tortuosa in salita, molto in salita.....

Trattare buon senso non e' mai stato il mio forte.
E questo ne e' la prova.