Mhttk' blog

sabato, giugno 05, 2004

Un giorno.

La mattina comincia alle sette e quaranta.
Mi tuffo da subito in quel torrente di eventi che sarà il Venerdì. Con il trillo delle sveglie che solfeggiano nella testa giusto per nuotare in quello che è il triangolo del risveglio. Letto, doccia, caffè.

Il traffico orgoglioso della capitale è umiliato da una assenza di idoti anomala.
All'aereoporto cinque carabinieri neri neri fermavano con la paletta tutte le macchine, belle, brutte o fiat. Senza pregiudizio o preferenze garantivano un accesso lento e sicuro per l'avioporto.

Sciami di elicotteri sorvolavano la città, volanti della polizia scorazzavano libere per la via Appia, il raccordo aveva solo una trentina di chilometri di fila per carreggiata ed io viaggiavo verso l'Acquedotto Claudio ad una velocità che farò fatica a ripetere un'altra volta ancora la mattina.

L'ultimo sforzo era nel violentare lo scanner magnetico per entrare in ufficiopoli con la mia carta di debito lavorativo. Ho smesso di sorridere alla rustica fanciulla della reception per colpa di quel badge, quando la gara la mattina era tra che dei due era meglio rintontito di sonno. Ora entro diretto: zac!, beep! s'apre la cupola ed entro. beep! transazione per la transizione umana compiuta...

I cristalli liquidi della barriera segnano l'ora, il bar è affollato di persone ed io che la mattina mi sento affollato anche quando sono solo, silente con lo sguardo perduto ancora nei sogni, riesco a prendere il mio turno per la colazione.

Il resto della mattinata è stato un difendersi dagli attacchi della forza di gravità che esercitava con una energia mostrusa il suo potere sulle mie palpebre. Alla riunione sono andato con il mio quaderno giallo, come lo scolaretto che segue il padre (altresì noto come titolare), ed il fratello grande (al secolo, boss). Ho detto le mie solite scemenze ed ho ascoltato le scemenze solite degli altri. Poi ho continuato il mio lavoro con l'ispirazione di chi, quel venerdì, usciva all'una.

Io metterei un piano a coda nella stanza dove siamo a lavorare. Con un tipo in frac che suoni quei tasti d'avorio bianco. Un cameriere in guanti bianchi che passi coi vassoi d'argento ricchi di cocktail di frutta. Metterei anche dei tendaggi diversi, tutto sommato. Ah, ne avrei di cose da fare.

Ma ci muoviamo ormai in un mondo in cui la gente per comodità s'è messa la testa dentro una gabbia per gli uccellini e se la porta appresso convinta di poter chiamare libertà quel cestino di sceme convinzioni che sventola ogni volta che s'aggrega al coro dei cretini. Cazzi loro, all'una, oggi esco.






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